Processo   verbale  di  udienza  (art. 130  c.p.c.)  della  causa
portante il numero di ruolo 84/01 promossa da De Salvo Saverio contro
il  Sindaco  di  Roma  per  l'opposizione  alla  cartella esattoriale
relativa  al  verbale  di  contestazione della Polizia Urbana di Roma
n. 0700997281 del 15 luglio 1997.
    In  Trino,  addi' 4 dicembre 2001 avanti al giudice di Pace nella
persona   dell'avv.   Mauro   Bolognesi   di   Novara   ed  assistito
dall'Operatore  giudiziario B2 Francese Fabrizio, e' presente il sig.
De  Salvo  Saverio.  Il  giudice  da atto che il comune di Roma si e'
costituito con comparsa pervenuta in data 30 novembre 2001.
    Il ricorrente discute la causa.
                         IL GIUDICE DI PACE

    Pronuncia la seguente ordinanza.

                         Osservato in fatto

    Con  ricorso  ex  art. 22  della  legge  n. 689/1981, ritualmente
depositato  il  3 luglio  2001 il sig. De Salvo Saverio ha presentato
opposizione  alla  cartella  esattoriale  emessa  in  conseguenza del
verbale  elevato  dalla  Polizia  Urbana di Roma, con il quale gli e'
stata contestata la violazione di cui all'art. 41/11 del Codice della
Strada.
    Il  comune  di  Roma,  costituitosi  con comparsa di risposta, ha
chiesto   il   rigetto   del   ricorso   proposto   per  incompetenza
territoriale.  All'udienza  del  4  dicembre 2001 le parti costituite
ribadiscono quanto gia' in atti.
    A  questo  punto  il  giudice, rilevato che il ricorrente risulta
residente  e  domiciliato  in  localita'  diversa da quella in cui e'
stata   commessa   la   violazione   ascrittagli,  ritiene  che  tale
circostanza  possa  avere rilevanza ai fini di sollevare la questione
di  costituzionalita' di cui all'art. 22 (rectius 22-bis) della legge
24 novembre 1981, n. 689 e ss.mm., in relazione agli artt. 3, 24 e 25
della  Costituzione  italiana. Conseguentemente sospende d'ufficio il
giudizio per trasmettere gli atti alla Corte costituzionale e di cio'
prende atto il ricorrente.
    Per  le  motivazioni  in diritto del giudice di Pace di Orbetello
sul  ricorso  proposto  da  Di  Tarsia  di Belmonte Francesco Edoardo
contro   la   Prefettura   di  Grosseto,  pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale,  1a  serie  speciale, n. 6 del 7 febbraio 2001, che qui si
intendono interamente trascritte, e che vengono cosi' sunteggiate:
    Per effetto dell'art. 98 del d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, con
il  quale e' stato introdotto l'art. 22-bis della legge n. 689/1981 e
ss.mm.,  il  legislatore  ha  riattribuito  al  giudice  di  pace  la
competenza  in  materia  di opposizione alle ordinanze-ingiunzione di
cui  all'  art. 22.  Contro  il  provvedimento sanzionatorio irrogato
dall'Autorita'   amministrativa,  gli  interessati  possono  proporre
opposizione  davanti al giudice del luogo in cui e' stata commessa la
violazione  entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del
provvedimento,  mediante  deposito  in  cancelleria  del  ricorso con
allegata l'ordinanza notificata. Secondo la prevalente giurisprudenza
della  suprema Corte, il ricorso deve essere materialmente consegnato
al  personale  dell'ufficio  giudiziario,  e  quindi non puo' formare
oggetto  di  invio  per  posta  o con altre forme di trasmissione, ad
esempio via fax (Cass. Sez. un. 17 giugno 1988, n. 4120). Nel ricorso
l'opponente  ove non abbia in loco un suo procuratore per il giudizio
de  quo, e' obbligato a dichiarare o eleggere domicilio nel comune in
cui  ha  sede  il giudice adito, ed a presentarsi alla prima udienza,
per  evitare  la  convalida del provvedimento opposto (art. 23, comma
5),  a differenza dell'ordinario rito civilistico per quanto riguarda
la cancellazione della causa dal ruolo (art. 181 c.p.c.).
    A  parere  di questo organo giudicante la descritta normativa non
sembrerebbe  garantire agli "interessati", ove non siano assistiti da
un  legale,  la concreta possibilita' di difendersi, tenuto conto dei
gravami  procedurali  che  vengono  ad  essi  imposti  per opporsi ad
addebiti  peraltro  di modesta offensivita', con particolare riguardo
l'obbligo  di  adire il giudice del luogo in cui e' stata commessa la
presunta  violazione, anziche' di quello di residenza del ricorrente.
Proprio  nel caso all'esame di questo giudice, si e' rilevato come un
signore  abitante a Crescentino per contestare un'infrazione stradale
elevatagli  nel  comune di Roma, debba presentare personalmente nella
cancelleria  del  giudice  di  Pace di Roma il suo ricorso, e quindi,
comparire  successivamente in udienza, sopportando un notevole costo,
sia  in  termini economici che di tempo, che gli sarebbe risparmiato,
se  la  competenza  in  materia  fosse  del  giudice del suo luogo di
residenza.  Tale  procedura  in  effetti, privilegiando il foro dell'
"amministrazione  repressiva"  rende  particolarmente difficoltoso al
ricorrente  esercitare  direttamente  il  suo fondamentale diritto di
difesa,  ai  sensi  non  solo  dell'art. 24  ("tutti possono agire in
giudizio"),  ma  ora,  anche,  dell'art. 111  -  secondo  comma della
Costituzione  (legge  costituzionale  23 novembre  1999,  n. 2),  per
effetto del quale "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le
parti,   in   condizioni  di  parita',  davanti  a  giudice  terzo  e
imparziale.".
    Nella  circostanza,  l'attribuzione della competenza territoriale
al  giudice  del  locus  delicti  in pratica coincidente con il luogo
dell'accertamento dell'infrazione, potrebbe essere in contrasto con i
principi   del   giusto   processo   e   della  buona  ed  imparziale
amministrazione  della  giustizia,  di  cui anche alla Convenzione di
Roma  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo e delle liberta'
fondamentali,  cio'  in  quanto di fatto al presunto incolpato non e'
garantita    una    posizione    processuale    paritaria    rispetto
all'amministrazione  e  quindi  mancano  i presupposti perche' il suo
ricorso  abbia  valenza  effettiva  e  non  solo  teorica, tanto piu'
considerando  come  le  pretese  dell'autorita'  che  ha  irrogato la
sanzione  siano,  tra  l'altro,  immediatamente  esecutive.  Siffatta
procedura, di chiara origine penalistica, che aveva come destinatario
l'allora pretore ed il suo particolare rito, potrebbe non essere piu'
conforme alla vigente disciplina del "procedimento davanti al giudice
di   pace",   che   prevede,  in  particolare,  all'art. 320  c.p.c.,
l'obbligatorio  interrogatorio libero delle parti subito "nella prima
udienza",  cio'  al  fine  di  acquisire  dagli  "interessati"  utili
elementi  per  la  trattazione  della  causa,  e  quindi incentiva un
rapporto   diretto   dell'organo   giudicante   con   i  protagonisti
processuali,  tanto  piu', se, come nel caso di specie, il ricorrente
puo' stare in giudizio senza l'assistenza di un legale.
    Va,  inoltre,  sottolineato,  che  lo  stesso  rito  della  legge
n. 689/1981,  imponendo al giudice di valutare la "personalita'" e le
eventuali     "condizioni     economiche    disagiate"    dell'autore
dell'infrazione,  in  sede di applicazione delle sanzioni (art. 11) e
concessione  del  pagamento  rateale  della  pena irrogata (art. 26),
postula  comunque  la necessaria presenza personale dell'incolpato in
giudizio.
    Sotto  questo  aspetto  e'  significativo,  altresi',  l'art. 23,
settimo  comma,  della legge n. 689/1981 che stabilisce la lettura in
udienza  del  dispositivo da parte del giudice, proprio allo scopo di
rappresentare  oralmente  al  ricorrente l'autorita' della decisione.
Tale    fondamentale    attivita'   processuale,   prevista   proprio
nell'interesse  difensivo del trasgressore, e' da ritenersi di dubbia
realizzazione nel caso in cui l'opponente si trovi a risiedere in una
localita'  molto  lontana  dal  punto  in  cui sarebbe stata commessa
l'addebitata  violazione  stradale  e  non  abbia mezzi economici per
rivolgersi  ad  un legale del posto, onde sostenere cola' in giudizio
le   proprie   ragioni  contro  l'"amministrazione  repressiva".  Tra
l'altro,  poi,  l'ammontare della sanzione irrogata, in genere non e'
tale  da  giustificare la spesa dell'assistenza di un professionista,
anche  nell'ipotesi in cui fosse macroscopica la non colpevolezza del
verbalizzato,  considerata,  inoltre, la diffusa tendenza dei giudici
de  quibus  a  compensare  le spese o liquidarle in via equitativa in
misura   simbolica.   E'   indubbio   che   l'attribuita   competenza
territoriale   al   giudice  del  luogo  in  cui  e'  stata  commessa
l'infrazione  sua unicamente a vantaggio dell'amministrazione nei cui
confronti  viene  presentato  ricorso,  in  quanto i suoi funzionari,
verosimilmente  agevolati  dalla vicinanza con gli uffici giudiziari,
risultano  facilitati  nel  reperimento delle prove e, quindi piu' in
generale nell'attivita' processuale. In particolare, poi, l'autorita'
verbalizzante,  in  sede  del  ricorso amministrativo, e' addirittura
destinataria per legge degli scritti difensivi indirizzati all'organo
giudicante.  Ma questa opportunita' logistica, se puo' ammettersi per
le controversie di maggiore offensivita' all'esame ora del tribunale,
la   cui  istruttoria  spesso  comporta  l'ammissione  di  consulenze
tecniche    di    complessi    riscontri   documentali   nei   luoghi
dell'accertamento dell'infrazione, non sembra ragionevole nel caso di
ricorsi  affidati  ai  giudici di pace, in quanto proprio la relativa
minore gravita' dell'illecito contestato non giustifica la competenza
territoriale  del  giudice  del  locus  delicti  ossia, in pratica, a
favore  dei  verbalizzati  ed  e'  sicuramente  penalizzante  per  il
ricorrente,  ove  la sua causa si svolga in una localita' fuori della
provincia di residenza o di domicilio.
    Al  riguardo non si puo' escludere che il legislatore, in sede di
emanazione   del   menzionato   d.lgs.   n. 507/1999,   abbia  voluto
riconoscere  una  competenza di carattere generale al giudice di pace
per  gli  illeciti  di minore allarme sociale, per i quali, se non e'
richiesta   l'assistenza   (tecnica)   di   un   legale,   e'   pero'
indispensabile     la     presenza    del    presunto    trasgressore
nell'istruttoria, per cui relativamente a questo comparto la norma di
cui   all'art. 22-bis   della   legge   n. 689/1981  potrebbe  essere
interpretata  nel  senso  che  il  giudice adito e' piu' propriamente
quello del luogo in cui si trova il ricorrente.
    Sono  state, infatti, escluse dalla sua competenza, ed attribuite
ai  giudici  togati,  le  opposizioni  avverso le sanzioni pecuniarie
superiori  a  30  milioni, ed alcune tipologie di violazione (lavoro,
urbanistica,   ambiente,  valutario,  tributario  e  societario),  di
particolare  complessita'  giuridica,  per  la cui definizione assume
specifico  rilievo  il  momento tecnico dell'istruttoria, e quindi la
necessita' per il ricorrente di doversi fare assistere da un legale.
    La  materia  del  riciclaggio,  nonostante  la sua contiguita' al
valutario ed al monitoraggio fiscale - procedura contenziosa ex testo
unico  31 marzo 1988, n. 148 - non e' stata demandata alla competenza
esclusiva  dei  giudici  del tribunale, ma riconosciuta di pertinenza
anche dei giudici di pace per le sanzioni comminate dal Ministero del
tesoro  fino  a  30  milioni.  Tale  scelta  legislativa  puo' essere
determinata   dal  fatto  che  gli  illeciti  di  cui  trattasi  sono
prevalentemente   di   carattere  formale,  in  quanto  provocati  da
ignoranza  delle  norme  e  da  semplice disattenzione, per cui si e'
ritenuto  che  un  giudice  onorario  fosse  idoneo  a  valutare tali
circostanze,  proprio  per il suo istituzionalizzato rapporto diretto
con  l'incolpato  (cfr.  A.  Simonetti  in  "Affari  e Finanza" di La
Repubblica  del  14 febbraio 2000" "Ai giudici di pace le liti tra il
Tesoro  e i distratti" e A. Mengali in Il controllo del movimento dei
capitali, IPSOA, Milano).
    Peraltro  non  si  puo'  non  osservare  che anche il giudizio di
opposizione  ai  provvedimenti sanzionatori del Ministero del tesoro,
analogamente  a  quello  in materia di infrazioni stradali, espone il
verbalizzato  all'onerosa procedura di doversi difendere nel luogo in
cui  risulta commessa la presunta violazione, che diventa ancora piu'
gravosa,  nel  caso in cui l'oggetto del contenzioso riguarda assegni
privi   di   requisiti   di  legge,  in  quanto  il  titolo,  essendo
suscettibile  di  essere  presentato  in  pagamento  presso qualsiasi
intermediario  finanziario,  radica la competenza nel luogo in cui e'
avvenuto tale regolamento, per lo piu' sconosciuto all'interessato al
momento  dell'emissione,  e che puo' essere ubicato in una zona molto
lontana da quella di residenza del traente.
    Per  le  ragioni  suesposte  si  ha  motivo  di ritenere che, per
effetto   della   vigente  procedura  di  opposizione  alle  sanzioni
amministrative,  le  parti  in giudizio non siano in una posizione di
parita',  e  sussiste,  invece,  uno  squilibrio a danno del soggetto
processualmente  debole,  ossia l'opponente, che normalmente rinuncia
ad esercitare il suo diritto di difesa per i costi eccessivi cui deve
sottoporsi,  mentre  invece  l'amministrazione, grazie ai suoi uffici
periferici,   o   in   mancanza,   di   quelli   di   Prefettura,  e'
istituzionalmente  in  grado  di  resistere  con  i  suoi  funzionari
sull'intero  territorio  nazionale.  Del  resto, proprio considerando
l'articolazione  territoriale degli uffici di Prefettura, l'eventuale
trasferimento  della competenza al giudice del luogo di residenza del
ricorrente  non  avrebbe  conseguenze  negative per l'amministrazione
opposta,   i   cui   uffici   periferici   potrebbero   correttamente
rappresentarla  nelle cause di cui trattasi. Si sottolinea, altresi',
come  ancor  prima  dell'avvento  del "giusto processo", l'evoluzione
normativa fosse gia' nel senso di valorizzare il foro del ricorrente,
rispetto  a  quello dell'opposto, proprio al fine di riequilibrare le
posizioni  dei  soggetti  considerati  normativamente deboli rispetto
alle  parti  processuali forti. Sono da ritenersi espressioni di tale
esigenza  non  solo il tradizionale rito del lavoro o il procedimento
di  opposizione  al  decreto  penale di condanna dal quale proprio la
procedura  della  legge  n. 689/1981  e' largamente ispirata, ma piu'
recentemente  la  complessiva normativa a tutela del consumatore, con
particolare  riguardo  all'art. 25 della legge 6 febbraio 1996, n. 56
(Disposizioni     per    l'adempimento    di    obblighi    derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alla   Comunita'  europea  -  legge
comunitaria  1991),  il quale parrebbe avere introdotto il cosiddetto
foro  esclusivo  del consumatore, ai sensi dell' art. 1469-bis, n. 13
del  codice  civile  (clausole  vessatorie)  (cfr. giudice di pace di
Prato,  sentenza  28  gennaio  1999  in  Foro  It.  I, 1695), o anche
all'art. 12 d. l. n. 50/1992 sui contratti negoziati fuori dei locali
commerciali  e,  infine,  all'art. 10  d.l. n. 427/1998 in materia di
multiproprieta'.
    Ne'  tali  deroghe  all'ordinaria competenza territoriale possono
essere  qualificate, come ritiene un'autorevole dottrina, un "eccesso
di zelo" nella protezione del consumatore. Esse, piuttosto, mirano ad
assicurare  al  soggetto, ritenuto normativamente debole in una lite,
la  possibilita'  (economica)  di  potersi difendere nel suo luogo di
residenza,  dove  verosimilmente gli e' meno oneroso rappresentare le
proprie    ragioni,   emancipandolo   da   dispendiosi   spostamenti,
sicuramente penalizzanti in termini di costi e di tempo.